Jackson Hole
Un'arma chiamata debito

Cosa abbia detto davvero Mario Draghi a Jackson Hole, non è poi così importante se non per i banchieri statunitensi ospiti del governatore della Bce. Chi è interessato potrà sempre chiedere una minuta del discorso a Francoforte. Quello che invece assume rilievo è l’alzo zero tedesco, per cui, se mai Draghi avesse detto che occorre ripensare alla politica del rigore, finanziando i paesi europei in difficoltà, sappiamo che la Germania, al solito, non ci pensa proprio. A Berlino sono convinti che iniezioni di liquidità creino solo iperinflazione, destabilizzazione e magari persino l’ascesa di un nuovo Hitler al posto della rassicurante e bonaria signora Merkel, oramai più inamovibile del dittatore. Nessuna novità per un quadro che già conosciamo troppo bene. Invece, una novità, proviene dalle parole del primo ministro francese Valls. fresco di rimpasto. Valls ha fatto sapere che serve un forte accordo franco tedesco e che sarebbe ora di piantarla di accusare la Germania di essere responsabile della politica miope che ha messo l’Europa in ginocchio. E’ anche qui non è tanto importante sapere se Valls abbia ragione, se sia stato il destino cinico e baro a portarci alla rovina, quando di prendere atto che la posizione francese è cambiata radicalmente. Hollande da antirigorista quale si era annunciato, è candidato a diventare il principale alleato di Berlino sul rigore. O a Parigi sono tutti impazziti, o la Germania ha un’ arma puntata, peggiore della grande Berta. Un’arma chiamata debito, e c’è poco da fare a riguardo: i singoli Paesi che hanno costruito l’unione monetaria, la Francia in primis, l’Italia, la Spagna, si sono impegnate a rispettare un trattato che colloca il debito al 3 per cento del Pil e tutte, ribadiamo tutte, non lo rispettano. Per questo la Germania può fare la voce grossa e gli altri devono scattare sugli attenti, come ai bei tempi. Si può modificare il trattato, quello che Romano Prodi impegnato nel suo turno di presidenza Ue, definì semplicemente “stupido”? Certo che si può, ma non perché non si riesce a rispettarlo. E’ una questione di credibilità internazionale con la quale deve continuare a fare i conti, in particolare, l’Italia. Risulta allora vano che Renzi assuma toni da rinnovatore in Europa, fino a quando non ha tutte le carte in regola da presentare. L’Italia faccia le riforme che deve fare, i tagli che ha promesso, recuperi il debito monster e poi sarà ascoltata, altrimenti continueranno a raffigurare il premier con il gelato in mano e il fatto che lui non si scomponga, non consola, anzi.
In queste circostanze il ministro Mogherini è riuscita ad ottenere l’incarico a responsabile della politica degli esteri dell’Unione europea. Complimenti vivissimi. Viste le resistenze che si erano manifestate, abbiamo dei dubbi che fosse il caso di insistere sia per l’incarico in questione, sia per la persona. Renzi ne ha fatto una specie di campagna personale ed è stato soddisfatto. Il timore è che Mogherini, osteggiata dai paesi dell’est, sia ora costretta ad ingraziarseli perdendo le necessarie doti di equilibrio nella valutazione della crisi in Ucraina. Soprattutto è plausibile che non possa combinare niente davanti a quella ancora più grave in medio oriente. Un modo per far scaricare sull’Italia l’incapacità di affrontare la situazione in Iraq e in Siria, non che l’Europa preferisce stare a guardare come se la cavano gli americani.

Roma, 1 settembre 2014